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Disastro del Vajont
Ore 22.39 - 1910 Vittime
Foto d'Archivio
50° Anniversario





Alle 22,39 del 9 ottobre un boato improvviso rompe la notte, dal Monte Toc una frana immensa precipita nel bacino idroelettrico del Vajont, genera un'onda che supera il bordo della diga, travolge Castellavazzo, Codissago, le frazioni di Erto e di Casso, spazza via Longarone. L'effetto è stato paragonato a 2 bombe atomiche. Nella foto la valle inondata, vista dell'alto


Un cappellano militare sul greto del Piave, sullo sfondo si intravede la diga, da lassù l’onda d’acqua è piombata violentissima


I soccorsi furono immediati e la mobilitazione generale: gli alpini del 7° Cadore, del 7°Belluno, il IV e V Corpo d'Armata, i vigili del fuoco, i militari americani della Setaf e innumerevoli volontari


Soldati e operai lavorano alla ricerca di cadaveri, sul fondo si vede la gola del Vajont


Due donne di Longarone nel luogo dove una volta c’era la loro casa, cercano di rintracciare oggetti riconoscibili, come i libri e le fotografie. La distruzione è stata totale su un fronte ampio quattro chilometri


L'opera incessante alla ricerca delle vittime. Per giorni non si riuscì a stabilirne il numero


Sopravvissuti e soldati nella valle dove sorgeva Logarone


Della parte settentrionale di Longarone sono rimaste in piedi alcuni edifici, tra questi il municipio che ha resistito all’ondata


Molti emigrati tornano al paese


Soldati e gente del posto scavano tra le macerie di Longarone


L'opera di recupero delle vittime è proseguita giorno e notte


Il riconoscimento delle vittime


Alcuni superstiti si aggirano disperati tra le rovine


Soldati a bordo di un gommone attraversano il torrente Maé per recuperare un corpo


Longarone, i Vigili del fuoco e le squadre di soccorso lungo il letto del Piave; la ricerca è resa difficile dallo spesso strato di fango e dalla presenza di tronchi d’albero della segheria del paese trascinati dalla massa d’acqua per decine di chilometri


A Longarone 305 famiglie scomparvero completamente (da vajont.net sito a cura del Comune di Longarone)


Della stazione ferroviaria rimasero solo lunghi tratti di binari piegati come fuscelli


I Vigili del Fuoco diedero un contributo importante, oltre 850 unità, dotati di 3 elicotteri e 271 mezzi meccanici


Il comando delle operazioni venne assunto dal Comandante del IV Corpo d'Armata, Gen. Carlo Ciglieri


Longarone, frazione di Pirago, il campanile resistito alla pressione dell'onda d'urto


Longarone, frazione di Pirago, i Carabinieri oltre che a svolgere compiti di soccorso vigilano sulle operazioni


Binari divelti della rete ferroviaria


Importante fu il segnalamento fotografico delle vittime che ha portato al riconoscimento della metà dei corpi recuperati


11 ottobre, arriva a Longarone in elicottero Giovanni Leone, allora presidente del Consiglio, promette a tutti quelli che incontra che avranno giustizia ma si schiererà dalla parte della Montecatini-Edison (subentrata alla Sade) assumendone la difesa nel processo


Il 10 ottobre 1963 si decise la realizzazione del cimitero per le vittime, l'area fu individuata tra i campi di granoturco davanti al piccolo cimitero di Fortogna, frazione di Longarone, e da domenica 13 ottobre accolse i corpi delle vittime


Gli interventi si protrassero fino al 21 dicembre. In tutto, tra ufficiali, sottufficiali e militari di truppa il personale militare era oltre 10.000 unità


Longarone aveva più di 4.000 abitanti, fabbriche: segherie, filature, cartiere





La diga dopo la tragedia, essenzialmente intatta (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Circa 270 milioni di metri cubi di terra, detriti, massi franò nel bacino del Vajont, si generò un'onda di 50 milioni di metri cubi d'acqua che si divise in due parti: una distrusse le frazioni di Erto più vicine alle sponde del lago fino a lambire Casso, l'altra scavalcò la diga e precipitò con tutta la sua potenza verso la valle sottostante (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


In primo piano, si vede la parte della diga che ha ceduto; sullo sfondo il monte Toc che minaccia di franare ancora (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


La diga del Vajont dopo il disastro (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


La diga del Vajont dopo il disastro (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Un particolare intorno alla diga, sulla montagna in lontananza la terra franata (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Tutta la costa del Toc, quasi tre chilometri, di boschi, campi coltivati e abitazioni affondò nel bacino sottostante. In lontananza si vede Casso. Il vicino paese di Erto è stato completamente sgombrato per evitare un nuovo disastro (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Il paese di Casso, nella foto gli impressionanti effetti della forte ondata, che ha lambito le abitazioni (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Il monte Toc, sulla destra si vedono i resti della strada panoramica che dalla Valle del Piave arrivava fino alla Valcellina (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Longarone, case travolte adiacenti a case risparmiate (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Longarone una casa divelta (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


I legnami della segheria trascinati per chilometri (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Frazione di Fortogna, si allineano le bare, qui verrà creato il cimitero che oggi raccoglie la maggior parte delle 1910 vittime (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Fortogna, una donna sopravvissuta, cerca di riconoscere i suoi morti (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


- Fortogna, le salme arrivano dai vari camposanti composte nelle bare, vengono disposte in ordine sul terreno per consentire ai parenti il riconoscimento prima della sepoltura (Gabriele Milani/Archivi Rcs)


Un sopravvissuto nei pressi della sua casa (Gabriele Milani/Archivi Rcs)





Una panoramica di ciò che resta di Longarone dopo l’ondata d’ acqua e fango proveniente dalla diga (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


I vigili del fuoco partecipano insieme a militari e civili al recupero delle salme (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


La grave situazione dei superstiti, molti hanno perso di colpo quasi tutti i propri familiari, la casa e quanto avevano di più caro (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Tra le macerie si continuano a recuperare i corpi e si cerca di identificarli attraverso gli oggetti che hanno addosso o accanto (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


I militari aiutano ad attraversare il fiume i superstiti e gli emigrati rientrati a Longarone subito dopo la tragedia (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Il dolore dei superstiti (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


La visita dell’allora Presidente del Consiglio Giovanni Leone (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Giovanni Leone sul luogo del disastro (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Giovanni Leone stringe la mano a un rappresentante dell’esercito (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Militari impegnati nel recupero delle salme (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Si recupera ogni oggetto utile all’identificazione delle vittime (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Alcune salme raccolte dai militari (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


La signora Anna di Longarone, nella tragedia ha perso sessanta parenti (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Superstiti e parenti delle vittime sbigottiti davanti alla catastrofe (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)


Gli emigrati accorsi dopo la tragedia a vedere cosa resta del paese e a cercare i propri cari (Oliviero Zanni/Archivio Rcs Quotidiani)





Tre bambine di Longarone si avviano a scuola per il primo giorno di lezione dopo la catastrofe che ha distrutto il paese. Gli alunni delle elementari erano 226: 186 sono morti (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


L’alunno Germano Faini di quinta elementare. Nel primo giorno di scuola il compito assegnato era un disegno libero: quasi tutti hanno disegnato la diga e la montagna (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Il difficile ritorno alla normalità dei sopravvissuti (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Il lavoro di recupero di mobili e oggetti rimasti intatti (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Il piccolo Luigino Olivier aiuta un soldato a sgombrare le macerie (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


L’ufficio postale mobile (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Due donne allo sportello dell’ufficio postale mobile (Evaristo Fusar/ Archivio Rcs)


Discussioni tra gli abitanti al banco del bar (Evaristo Fusar/ArchivioRcs)


Si caricano i materassi per gli sfollati sistemati nelle tende (EvaristoFusar/Archivio Rcs)


Militari al lavoro per rimettere in piedi il monumento ai caduti di Longarone (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Militari al lavoro per rimettere in piedi il monumento ai caduti di Longarone (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Si continua a scavare tra i detriti, questo cartello segnala il punto in cui sorgeva l’albergo Marina, di cui non è rimasto altro che la chiave della stanza 4 (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Gli Alpini al lavoro tra le macerie, uno dei primi corpi dell’esercito a esser chiamato dopo il disastro (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Quel che resta di un palazzo spazzato via dall’ondata d’acqua (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Si aprono dei varchi tra le macerie per il passaggio dei mezzi militari (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Gli Alpini tra le macerie (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Uno scorcio del paese distrutto (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Militari e civili scavano tra le macerie (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


La lenta opera di rimozione dei detriti (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Ponte di legno provvisorio per consentire l’attraversamento del fiume (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Una panoramica mostra le dimensioni del disastro (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)


Due uomini guardano il punto da cui è partita l’ondata di acqua e fango, sullo sfondo si intravede la diga del Vajont (Evaristo Fusar/Archivio Rcs)





Case prefabbricate per i superstiti a Longarone. (Gianfranco Moroldo/ Archivio Rcs)


L’interno di un negozio di alimentari. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Il sindaco di Longarone Terenzio Arduini. (Gianfranco Moroldo/ Archivio Rcs)


Il sindaco avrebbe preferito che al posto del paese sorgesse un centro di sviluppo industriale, ma il comitato dei superstiti non ha voluto sentire ragioni: “Longarone lo rivogliamo qui, tale e quale”. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Uno dei tanti cartelli che invocano giustizia e chiedono che il paese resti dov’era. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Il custode del cimitero di Fortogna Arcangelo de Nes. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Arcangelo de Nes indica le 1951 croci, molte delle quali non hanno ancora un nome. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Il punto in cui sorgeva la chiesa di Longarone, le due campane sono state ritrovate 500 metri più a monte. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Il ponte sul torrente Maé, in primo piano resti ripescati sulle rive. Quasi ogni giorno si trovano salme che poi vengono inumate nel cimitero di Fortogna. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Il piccolo cimitero di Pirago. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Del piccolo paese Pirago è rimasto integro solo il campanile. (Gianfranco Moroldo/Archivio Rcs)


Un uomo cammina proprio dove sorgeva il centro del paese di Longarone, a destra quel che rimane della chiesa: gli scalini. (Gianfranco Moroldo/ Archivio Rcs)